Assegno di divorzio e reddito di cittadinanza, l'avvocato: "Non può essere un'operazione matematica"

Il primo tribunale ad essersi occupato della relazione tra assegno di divorzio e reddito di cittadinanza è stato quello di Frosinone, il 18 febbraio 2020. In quel caso una signora di 61 anni, con un lavoro saltuario e un reddito talmente basso da non permetterle di pagare l’affitto, chiedeva un assegno di divorzio conteggiato in 200 euro mensili. L’assegno le veniva negato perché la donna avrebbe potuto accedere al reddito di cittadinanza.

In realtà – spiega l’avvocato Laura Oboe Referente AIAF Vicenza e componente il Direttivo Regionale e Nazionale AIAF – la questione non può essere risolta con una semplice operazione matematica”.
Deve essere insomma affrontata in modo diverso a seconda delle situazioni e della funzione data all’assegno di divorzio.

E proprio quest’ultimo aspetto è stato per anni al centro di un intenso dibattito giurisprudenziale.

Per circa trent’anni – prosegue l’avv. Oboe – la giurisprudenza ha ritenuto che l’assegno di divorzio dovesse garantire all’avente diritto il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Tale posizione è stata progressivamente superata arrivando, la Cassazione, a negare l’assegno al coniuge economicamente autosufficiente”.

Sulla questione – dice l’avvocato Laura Oboe – è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con l’ormai nota sentenza dell’11 luglio 2018 che ha attribuito all’assegno di divorzio la composita natura assistenziale-compensativa e perequativa. Diretta conseguenza di tale impostazione è che al fine di riconoscere o meno l’assegno divorzile, il Giudice dovrà procedere secondo un preciso iter logico: dovrà comparare le condizioni economico – patrimoniali delle parti e qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio. All’esito di tali valutazioni dovrà infine quantificare l’assegno divorzile, rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare né all’autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo dato alla famiglia. In altri termini, il giudice deve tenere conto delle scelte fatte durante il matrimonio. Se per crescere i figli e accudire la famiglia si sia rinunciato al lavoro, ad una carriera e in definitiva ad una possibilità di indipendenza”.

Parte della giurisprudenza, successiva alle Sezioni Unite, ha poi stabilito che la funzione perequativa e compensativa dell’assegno di divorzio debba venire meno quando manca il nesso causale tra la disparità economica dei coniugi e il sacrificio fatto in costanza di matrimonio. In questo caso l’assegno può essere riconosciuto solo in chiave puramente assistenziale.

In base a queste linee si dovrebbe poter capire la relazione dell’assegno di divorzio con il reddito di cittadinanza.

A mio avviso – continua l’avv. Oboe – nei casi in cui l’assegno ha una funzione solamente assistenziale, il Giudice potrebbe arrivare ad escludere il riconoscimento dell’assegno divorzile laddove il coniuge richiedente abbia diritto al reddito di cittadinanza. Si pensi al caso di una moglie giovane e priva, per sua scelta, di reddito e di patrimonio”.

Diverso è il caso in cui l’assegno abbia funzione perequativa e compensativa.Faccio un esempio”, spiega l’avvocato. “Una donna di una certa età senza patrimonio e senza reddito, che abbia rinunciato alla sua carriera professionale per seguire la casa e i figli a tutto vantaggio del lavoro del marito che, al momento del divorzio, si trova a disporre di un buon reddito. In questo caso dovrà essere senz’altro riconosciuto l’assegno di divorzio non potendo di certo il Giudice onerare la moglie di fare richiesta del reddito di cittadinanza.

Ma la giurisprudenza successiva a quella di Frosinone ha seguito tale impostazione?

Sì” – risponde l’avv. Oboe. Due sentenze del Tribunale di La Spezia di dicembre 2020 e di gennaio 2021 ed il Tribunale Oristano nell’aprile 2020 hanno infatti “confermato il principio che quando l’assegno di divorzio ha funzione perequativa e compensativa, quindi conseguente al sacrificio fatto da un componente la coppia, è dovuto. Non può essere sostituto dal reddito di cittadinanza”.

Tribunale di Roma, luglio 2020. Tribunale di Imperia, gennaio 2021. Corte d’appello di Reggio Calabria, febbraio 2020. Corte d’appello di Roma, marzo 2020 “hanno invece confermato la tesi – prosegue l’avvocato Laura Oboe – che non si ha diritto all’assegno di divorzio se ci si trova in uno stato di disoccupazione volontaria e si hanno i requisiti per accedere al reddito di cittadinanza”.

Occorre altresì evidenziare che il tema oggi affrontato scopre il fianco ad un paio di criticità.

Potrebbero esserci dei casi – spiega l’avvocato Laura Oboe – in cui il giudice nega l’assegno di divorzio in considerazione della possibilità di accesso al reddito di cittadinanza che però, in concreto, viene negato a causa del mancato aggiornamento da parte enti preposti dei dati reddituali e patrimoniali del soggetto richiedente. Il reddito di cittadinanza viene, infatti, erogato sulla base della dichiarazione ISEE che descrive la situazione economica dell’anno precedente. Sorge quindi un problema di tutela potendo trovarsi il coniuge più debole privo sia dell’assegno divorzile che del reddito di cittadinanza”.

L’altra criticità è legata all’aumento di divorzi e separazioni per poter accedere al sussidio”, spiega l’avvocato. “L’allarme è stato lanciato dall’Ocse ed è poi stato ribadito dai Caf, i centri di assistenza fiscale che hanno segnalato un alto numero di domande di sussidio basate su atti falsi e su cambi di residenza sospetti. Ciò, nonostante la legge introduttiva il reddito di cittadinanza abbia previsto – in senso antielusivo – che per le separazioni e i divorzi successivi al 1° settembre 2018 il cambio di residenza debba essere certificato da apposito verbale della polizia locale”.